Ipotesi sulla storia della Sindone

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Il volto dell'Uomo della Sindone nel negativo fotografico (foto di Secondo Pia, 1898)
Voce principale: Sindone di Torino.

Tutti gli storici sono d'accordo nel ritenere documentata con sufficiente certezza la storia della Sindone di Torino a partire dalla metà del XIV secolo. Sulla sua storia precedente e sulla sua antichità non vi è accordo.

Quanti credono che essa sia un falso ritengono semplicemente che essa non esistesse prima di tale epoca. Un importante elemento a sostegno di questa tesi è il risultato dell'esame del carbonio 14 eseguito nel 1988, secondo il quale il telo risale al periodo compreso tra il 1260 e il 1390.

Quanti invece credono che la Sindone sia l'autentico lenzuolo sepolcrale di Gesù rifiutano la validità della datazione al carbonio 14 e ne collocano l'origine nella Palestina del I secolo. Secondo un'ipotesi che gode di molto credito tra di essi, essa coinciderebbe con il Mandylion o "Immagine di Edessa", un'immagine di Gesù molto venerata dai cristiani d'Oriente, la cui esistenza è documentata dal VI secolo fino al 1204: questo spiegherebbe l'assenza di documenti che si riferiscano alla Sindone in tale periodo.

Cronologia in breve

Secondo l'ipotesi autenticista, queste sarebbero le tappe salienti della sua storia nei primi tredici secoli:

  • inizialmente la Sindone è conservata dalla primitiva comunità cristiana, come ricordo della Passione di Gesù; a causa delle persecuzioni viene tenuta nascosta.
  • in seguito, entro il VI secolo, viene portata nella città di Edessa e diviene nota come mandylion.
  • nel 944, dopo che Edessa è stata occupata dai musulmani, i bizantini trasferiscono il mandylion a Costantinopoli.
  • nel 1204 Costantinopoli viene saccheggiata dai crociati, e del mandylion, ovvero della Sindone, si perdono le tracce. Sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare come essa sia poi giunta in Francia, dove ricompare circa 150 anni dopo.

Questi invece sono i principali eventi della sua storia successiva, ritenuta certa dagli storici:

  • nel 1353, a Lirey in Francia, il cavaliere Goffredo di Charny annuncia di essere in possesso del telo che avvolse il corpo di Gesù nel sepolcro.
  • nel 1453 Margherita di Charny, discendente di Goffredo, vende la Sindone ai duchi di Savoia, che la portano a Chambéry, loro capitale.
  • nel 1506 Papa Giulio II autorizza il culto della Sindone.
  • il 4 dicembre 1532 la Sindone viene danneggiata da un incendio che la brucia in più punti. Tra il 15 aprile e il 2 maggio dell'anno successivo le suore clarisse di Chambéry la riparano applicando alcune toppe e cucendola su un telo di sostegno.
  • nel 1578 il duca Emanuele Filiberto, che ha spostato a Torino la capitale del ducato, vi trasferisce anche la Sindone.
  • nel 1706 durante l'assedio di Torino, la Sindone viene temporaneamente trasferita a Genova.
  • nel 1898 la Sindone viene fotografata per la prima volta, e si scopre che l'immagine dell'Uomo della Sindone è un negativo: questo avvenimento solleva l'interesse della comunità scientifica sul lenzuolo e riaccende il dibattito, a tutt'oggi non concluso, sulla sua autenticità.
  • dal 1939 al 1946 la Sindone viene segretamente nascosta all'interno dell'abbazia di Montevergine in Campania. Per un accordo fra Vittorio Emanuele III e Pio XII, la reliquia viene trasferita nel santuario, sia per proteggerla dai bombardamenti, sia per nasconderla a Hitler che ne era ossessionato e che la voleva sottrarre.
  • nel 1973 avviene la prima ostensione televisiva della Sindone, che la rivela al grande pubblico.
  • nel 1983 Umberto II di Savoia, ultimo Re d'Italia, morendo lascia la Sindone in eredità al Papa, che ne delega la custodia all'Arcivescovo di Torino.
  • nel 1988 la Sindone viene sottoposta all'esame del carbonio-14: il risultato è che il lenzuolo è di epoca medievale (1260-1390, periodo compatibile con la sua comparsa a Lirey nel 1353), ma diversi sindonologi ne contestano l'attendibilità.
  • nella notte tra l'11 e 12 aprile del 1997 la Sindone è minacciata da un incendio che devasta la Cappella del Guarini; portata in salvo dai vigili del fuoco, non riporta alcun danno.
  • nel 2002 la Sindone è sottoposta a un intervento di restauro conservativo: tra l'altro vengono rimosse le toppe e il telo di sostegno applicati dopo l'incendio del 1532.

Prima di Lirey?

Primi secoli

Dipinto su tela di Gianbattista delle Rovere detto "Il Fiammenghino" conservato nella Galleria Sabauda.

Nel Nuovo Testamento la sindone evangelica viene esplicitamente citata solo in occasione della deposizione nel sepolcro. I sindonologi autenticisti ipotizzano che dopo la risurrezione di Gesù il lenzuolo sia stato conservato e venerato dalla primitiva comunità cristiana di Gerusalemme[1].

Nel 66, poco prima dell'assedio di Gerusalemme da parte dei Romani in occasione della prima guerra giudaica, la comunità cristiana di Gerusalemme si rifugiò nella cittadina di Pella, oltre il fiume Giordano.[2]

Nel II secolo il Vangelo degli Ebrei, uno scritto apocrifo diffuso tra i giudeo-cristiani in Palestina e andato perduto, accenna fugacemente alla sindone: «Il Signore, dopo aver dato la sindone al servo del sacerdote, apparve a Giacomo»[3] (citato da Girolamo, Uomini illustri cap. 2 lat.). L'anonimo "servo del sacerdote" potrebbe essere identificato con l'evangelista Giovanni,[4] oppure Malco,[5], oppure Pietro ipotizzando una corruzione del testo latino[6].

Il Vangelo di Nicodemo, datato al II secolo, nelle varie redazioni pervenute, accenna alla sindone e al sudario che sono dette presenti nel sepolcro dopo la risurrezione[7]. Non viene aggiunto nulla di nuovo rispetto al resoconto dei vangeli sulla sindone evangelica e non si accenna ad un'immagine impressa.

Il Vangelo di Gamaliele riporta gli eventi della risurrezione nominando 16 volte le "bende" di Gesù. È difficile ricostruire storia e datazione del testo: si è conservato indirettamente tramite un manoscritto etiope del V-VI secolo contenente l'omelia Lamentazione di Maria di un certo Heryaqos, vescovo di Al-Bahnasa (alto Egitto), la quale riporta ampie citazioni dell'apocrifo.[8] Nel testo Pilato si recò al sepolcro dopo la risurrezione, "prese le bende mortuarie, le abbracciò e, per la grande gioia, scoppiò in lacrime quasi che avvolgessero Gesù". Grazie alle bende un soldato recupera miracolosamente la vista e il "buon ladrone" viene risuscitato. Divengono oggetto di culto: "tutto il popolo, quelli della regione di Samaria e i pagani volevano vederle". In questo caso, al di là della improbabile storicità dei resoconti dell'apocrifo, il testo è storicamente importante in quanto testimonia l'esistenza di bende funebri di Gesù e il culto ad esse attribuito. Non vi è accenno ad un'immagine impressa sulle bende.

Si fa menzione della Sindone anche in due distinte omelie del IV secolo di Cirillo di Gerusalemme[9]. Nella Catechesi quattordicesima si legge: «Molti sono i testimoni della risurrezione... la roccia del sepolcro... gli angeli di Dio... Pietro, Giovanni e Tommaso, insieme agli altri Apostoli, dei quali alcuni accorsero al sepolcro; i lini della sepoltura, coi quali fu prima avvolto, che giacenti dopo la risurrezione... le fasce sepolcrali e il sudario che lasciò risorgendo... i soldati...» (14, 22). Nella Catechesi ventesima: «Vera la morte di Cristo, vera la separazione della sua anima dal suo corpo, vera anche la sepoltura del suo santo corpo avvolto in un candido lenzuolo». (20, 7). Le catechesi si riferiscono quindi alla sindone evangelica e non forniscono criteri utili circa la storicità della Sindone di Torino. Neanche qui vi è accenno ad un'immagine impressa sui tessuti.

Nel VII secolo Braulione, vescovo di Saragozza, nella lettera 42 all'abate Tajo cita i lini e il sudario evangelico, ipotizzando che questo sia stato conservato dagli apostoli[10]. Anche in questo caso l'accenno non fornisce utili indicazioni storiche circa la sindone e non accenna a un'immagine impressa.

Nell'opera De locis sanctis, scritta dal monaco Adamnano nel 698[11], è descritto il pellegrinaggio del monaco e vescovo Arculfo compiuto a Gerusalemme attorno al 670. Il pellegrino descrive il ritrovamento del sudario di Cristo ("quello che era stato posto sul suo capo nel sepolcro") e il culto ad esso attribuito (1, 10). Secondo il racconto di Arculfo, il sudario era stato prelevato dal sepolcro di Gesù da un anonimo giudeo ed era stato tramandato come patrimonio di famiglia. Tre anni prima (circa 667) era sorta una disputa sul possesso del sudario. Il re dei saraceni Navias (cioè Mu'awiya ibn Abi Sufyan) aveva chiamato i due gruppi di contendenti e buttato il lino in un fuoco, ma questo era rimasto sospeso sulle fiamme volando poi di fronte a un pretendente. Il lino era custodito in uno scrigno e venerato dal popolo, Arculfo stesso l'aveva baciato. Misurava "quasi otto piedi in lunghezza", cioè circa 2,3 metri. Arculfo non accenna a un'immagine impressa. È probabile che il sudario venerato da Arculfo non sia la Sindone di Torino ma una reliquia poi venerata in Francia come Santo Sudario di Compiègne, distrutto durante la rivoluzione francese.[12]

Nello stesso periodo si parla anche della presenza di immagini sulla Sindone: nel rito mozarabico, in un passo che si ritiene risalire al VI secolo, si afferma che Pietro e Giovanni videro le "impronte" del Risorto sui lini[13], mentre papa Stefano II (752-757) scrive che la figura del volto e dell'intero corpo di Gesù è stata "divinamente trasferita" sul lenzuolo[14]. Non è però possibile affermare con certezza né che si trattasse della vera Sindone, né che fosse lo stesso lenzuolo che oggi si trova a Torino.

Jack Markwardt[15] ha avanzato l'ipotesi che la Sindone sia stata conservata nei primi secoli ad Antiochia, forse portatavi dallo stesso Pietro (che, secondo la tradizione, ne fu il primo vescovo), e tenuta nascosta dapprima a causa delle persecuzioni, e quindi a motivo delle dispute tra cristiani ortodossi, ariani e monofisiti. Essa sarebbe stata trasferita ad Edessa solo nel 540, quando Antiochia fu assediata dai Persiani di Cosroe.

Mandylion

Re Abgar di Edessa e il Mandylion, icona del X secolo nel monastero di Santa Caterina nel Monte Sinai.
Lo stesso argomento in dettaglio: Mandylion.

Il Mandylion, la cui esistenza è attestata da numerosi documenti, era un fazzoletto che recava un'immagine del volto di Gesù ritenuta miracolosa. Si diceva che Cristo si fosse asciugato il volto con un fazzoletto e in questo modo vi fosse rimasta impressa la sua immagine.

Custodito dapprima a Edessa, nel 944 il Mandylion fu trasferito a Costantinopoli; dopo il saccheggio della città avvenuto nel 1204 nel corso della Quarta crociata se ne perdono le tracce.

L'ipotesi di identificazione del Mandylion con la Sindone si basa su alcune notevoli similarità tra i due oggetti: anzitutto ad entrambe le immagini era attribuita un'origine miracolosa, derivante da un contatto diretto col volto o il corpo di Gesù. Nel X secolo l'arcidiacono Gregorio afferma che l'immagine del Mandylion non è dipinta e non reca tracce di colori artificiali, ma è solo "splendore" ed è stata impressa dalle gocce di sudore di Cristo.

Inoltre, sebbene le più antiche testimonianze descrivano il Mandylion come un fazzoletto di dimensioni ridotte sul quale era impresso il solo volto di Gesù, a partire dal suo arrivo a Costantinopoli si inizia a parlare di una figura più ampia: Gregorio menziona le "gocce di sangue sgorgate dal suo stesso fianco", dal che si deduce che l'immagine si estendeva almeno fino al costato.

Come apparirebbe la Sindone ripiegata in otto e inserita in un reliquiario con un'apertura circolare.

È stato perciò suggerito che il Mandylion/Sindone venisse originariamente tenuto ripiegato in modo da mostrare il solo volto di Gesù: in effetti ripiegando la Sindone tre volte nel senso della larghezza, in modo da formare otto strati sovrapposti, rimane visibile una sezione nella quale l'immagine del volto è in posizione centrale. Alcune antiche raffigurazioni del Mandylion appaiono confermare questa ipotesi: esse mostrano un reliquiario le cui dimensioni corrispondono a quelle della Sindone piegata in otto, con un'apertura circolare al centro attraverso la quale si vede il volto di Cristo, mentre tutto il resto dell'immagine rimane nascosto[16].

Normalmente il Mandylion veniva conservato in uno scrigno in una cappella chiusa: solo una volta all'anno l'arcivescovo di Edessa poteva entrare, da solo, nella cappella e aprire lo scrigno. I comuni fedeli potevano soltanto guardare lo scrigno chiuso dall'esterno della cappella attraverso una grata, o una volta all'anno quando veniva portato, sempre chiuso, in processione.[17]

Si ipotizza quindi che solo a Costantinopoli il reliquiario fu aperto, si scoprì l'immagine intera, e si comprese la reale natura del telo.[18].

Non c'è accordo sugli studiosi se, a partire dall'anno Mille circa, i cataloghi delle reliquie possedute dalla corte imperiale parlano esplicitamente sia della Sindone che del Mandylion o meno.[18].

Altri documenti dicono che la Sindone fu mostrata nel 1147 a re Luigi VII di Francia, e nel 1171 a re Amalrico I di Gerusalemme[19].

L'ultimo riferimento si deve a Roberto di Clary, cronista della Quarta crociata: egli scrive che, prima della conquista della città da parte dei crociati (12 aprile 1204), la Sindone con la figura di Gesù veniva esposta ogni venerdì nella chiesa di Santa Maria di Blachernae; ma, aggiunge, "nessuno sa ora cosa sia avvenuto del lenzuolo dopo che fu saccheggiata la città"[20].

È da notare però che nei suoi racconti Roberto di Clary parla anche esplicitamente del mandylion, sostenendo che era custodito in un vaso d'oro e in un altro punto della città[21].
Di conseguenza è lo stesso crociato piccardo a distingure la Sindone dal Mandylion, di talchè l'utilizzo della sua cronaca per sostemere l'identità della prima con il secondo desta la perplussità di molti studiosi.

Inoltre non è storicamente provato che la Sindone descritta in questi documenti sia la Sindone di Torino, e non qualche altra Sindone esistente all'epoca. Dato che in periodi successivi è testimoniata l'esistenza di più Sindoni, non è da escludere che ne esistessero più d'una anche nei secoli precedenti.

Icona della Sainte Face, riproduzione del Mandylion, ante 1249, Cattedrale di Laon

Occore ulteriormente considerare che la tradizione consolidata vuole che il Mandylion sia un’ immagine di Gesù vivente: secondo la leggenda Cristo si sarebbe asciugato il viso con un telo e su di esso sarebbe rimasta impressa l’immagine del suo volto (e solo di esso), questo telo sarebbe stato poi consegnato al re di Edessa. E ad Edessa sarebbe rimasto sino alla traslazione a Costantinopoli. Per l’appunto se il Mandylion costantinopolitano è da mettere in relazione con la leggenda del re di Edessa esso non può essere identificato con la Sindone che ovviamente reca l’immagine di un uomo morto. D’altro canto il Mandylon è un elemento ricorrente nell’iconografia bizantina: esso è sempre raffigurato come un telo recante il volto di Cristo e mai la figura del suo corpo. E, soprattutto, come ben si vede in queste icone, Cristo è vivo (ha gli occhi aperti) e non reca i segni della Passione. Se la Sindone di Torino fosse il Madylion non si comprenderebbe quale sia l’origine (risalente e costante) dell’iconografia utilizzata per raffigurare quest’ultimo. A ciò bisogna aggiungere che al tempo della disputa iconoclasta il Mandylion è utilizzato dagli iconoduli come argomento a favore della liceità delle immagini sacre: queste testimonianze fanno riferimento sempre al Mandylion inteso come rappresentazione del volto di Cristo.

Velo della Veronica

Santa Veronica e il Velo con il volto di Gesù, dipinto del 1433 di Hans Memling.
Lo stesso argomento in dettaglio: Velo della Veronica.

Il velo della Veronica compare in alcuni scritti apocrifi tardi appartenenti al Ciclo di Pilato (talvolta erroneamente citato come Atti di Pilato): Guarigione di Tiberio, Vendetta del Salvatore e Morte di Pilato. I tre scritti si sono conservati in autonome redazioni medievali (rispettivamente del VIII, IX e XIV secolo) scritte in latino ma derivano da una versione precedente andata perduta, probabilmente del VI secolo.[22] La trama dei tre apocrifi è sostanzialmente la stessa: l'imperatore Tiberio gravemente ammalato invia a Gerusalemme Volusiano che punisce i responsabili della morte di Gesù, trova una sua immagine in possesso della Veronica, la conduce a Roma e grazie ad essa l'imperatore è guarito. Numerose sono le icone della cristianità occidentale che sono state considerate il Velo della Veronica.

L'ipotesi di identificazione del Velo della Veronica con la Sindone di Torino appare a prima vista impossibile: la Sindone è un lenzuolo funebre e reca impressa una figura intera umana, mentre le leggende, come le icone pervenuteci, sono relative a un panno di limitate dimensioni con la raffigurazione del solo volto, analogo al già citato mandylion di Edessa. Tuttavia, come si è già visto sopra, è stato ipotizzato da alcuni storici che il mandylion coincidesse la Sindone ripiegata in modo tale da mostrare il solo volto. Secondo questa ipotesi quindi le leggende e le copie occidentali del Velo della Veronica potrebbero fondarsi indirettamente sulla Sindone-Mandylion, e l'esame dei tratti iconografici comuni a veli e Sindone ne sarebbe la prova[23].

La Sindone e le raffigurazioni di Gesù

Lo stesso argomento in dettaglio: Iconografia di Gesù.
Cristo Pantocratore, Atene, mosaico dell'XI secolo

Nel periodo bizantino si affermano canoni di raffigurazione di Gesù che, secondo alcuni autori, presentano elementi riconducibili direttamente alla Sindone di Torino. Questa relazione, se provata, si spiega naturalmente se si accetta l'identificazione della Sindone con il Mandylion e si considera che, in virtù della sua origine ritenuta miracolosa, esso doveva certamente rappresentare un "modello autorevole" al quale gli artisti bizantini si ispiravano direttamente[24].

Genericamente, dopo i primi secoli del cristianesimo nei quali Gesù era spesso dipinto come giovane imberbe, simile alle divinità pagane, si afferma la raffigurazione ancora oggi tradizionale di Cristo coi capelli lunghi e la barba. Più specificamente, Paul Vignon e Heinrich Pfeiffer elencano diverse caratteristiche tipiche delle icone bizantine, che corrispondono precisamente a particolari dell'immagine della Sindone di Torino[25]:

  • una o più ciocche di capelli corti in mezzo alla fronte, dove la Sindone presenta una macchia di sangue a forma di ricciolo;
  • il sopracciglio destro più alto del sinistro;
  • due segni sul naso, uno a forma di V e l'altro simile a un quadrato;
  • la barba bipartita e leggermente spostata da un lato;
  • la testa come staccata dal corpo;
  • una guancia più gonfia dell'altra.
Giunta Pisano, Croce d’altare, metà del XIII secolo, Chiesa di San Domenico, Bologna

Secondo taluni cultori della materia l’immagine sindonica sarebbe in relazione a quella che essi chiamano"curva bizantina", una particolare posizione di Gesù in croce, col corpo tutto spostato da un lato, tipica delle icone a partire dall'anno Mille, nonché all'uso russo di disegnare la croce col suppedaneo inclinato. A giudizio di costoro ciò deriverebbe dalla Sindone: in essa infatti la gamba sinistra, rimasta flessa a causa della rigidità cadaverica, appare più corta della destra[26].

Maestro bizantino, Crocifisso, Museo Nazionale di San Matteo, Pisa, primo decennio XIII sec.
File:Russian-cross.jpg
Trionfo delle Croce, Icona russa, XII secolo

In definitiva, secondo questa originale ricostruzione, l’immagine sindonica avrebbe indotto gli iconografi a pensare che Gesù fosse zoppo e le rappresentazioni citate (l’inarcarsi del corpo di Cristo sulla Croce, la traversa obliqua dell’iconografia russa) ne sarebbero testimonianza. In merito però occorre osservare che: quanto alla Croce russa ortodossa, la parte alta della terza traversa è sempre quella dove poggia il piede destro del Salvatore (cioè la gamba più “lunga”), il che è in evidente e stridente contraddizione con tutto l’assunto. D’altro canto che il braccio obliquo abbia questa inclinazione non sembra casuale: infatti ben più accreditata interpretazione iconografica è che la parte alta del terzo braccio indichi il buon ladrone (a destra di Cristo) e quella bassa (a sinistra) pende verso il ladrone che non si pente. In realtà l’obliquità del terzo braccio allude alla bilancia e quindi al giudizio finale di cui la Croce stessa è simbolo. Quanto poi alla c.d. “curva bizantina” nessuno studioso di storia dell’arte ha mai messo in relazione questo fenomeno all’immagine della Sindone. E soprattutto, a ben vedere, l’arco disegnato dal corpo del Redentore nell’arte bizantina non è mai particolarmente accentuato: basti guardare ad una delle più importanti produzioni bizantine al mondo su questo tema: il Crocifisso bizantino del San Matteo a Pisa. Come si vede, in quest'opera il corpo di Gesù è quasi dritto. Mentre, come è universalmente noto, ad accentuare fortemente l’arco sono stati artisti italiani (a partire da Giunta Pisano) cioè artisti che, seguendo la tesi in commento, non avrebbero potuto subire la presunta influenza dell’immagine della Sindone di Torino. Su questo fenomeno storico artistico (l’affermarsi dell’iconografia del Christus patiens) esiste una copiosissima letteratura che mai fa riferimento alla Sindone, quanto piuttosto all’affermarsi, nel Duecento, dell’esigenza di una nuova spiritualità, soprattutto sulla scorta del diffondersi del Francescanesimo. Tutto ciò tacendo del fatto che la diversa lunghezza delle gambe è giustificata con (controversi) fenomeni tanatologici solo dai sostenitori della tesi autenticista; per i sostenitori della tesi avversa si tratta, molto più banalmente, di un’imprecisione dell’autore del manufatto.

Akra Tapeinosis, XII secolo, Kastoria, Grecia
File:Taddeo gaddi imago pietatis.jpg
Taddeo Gaddi, Imago pietatis, XIV secolo, Collezione privata

Un'altra raffigurazione bizantina tipica di quel periodo, la Akra Tapeinosis, nota in occidente come Imago pietatis o Vir dolorum (in Italia anche come Cristo passo), mostra Gesù morto, con gli occhi chiusi e le mani incrociate sul ventre, che sporge fuori dal sepolcro dalla vita in su, in posizione eretta. Anche in ordine a questa raffigurazione qualcuno ha immaginato una derivazione dalla Sindone, che, secondo quanto riferisce Roberto di Clary, veniva esposta "tutta dritta", cioè con la figura di Cristo in verticale. In merito a questa ipotesi si può però osservare, in linea generale, che la presunta affinità dell’Imago pietatis con l’immagine della Sindone potrebbe essere indice del contrario: è sostenibile che nella preparazione della Sindone suo il autore abbia tratto “ispirazione” dal Vir dolorum. Tanto più se si tiene conto che, se è vero che l’Imago pietatis ha origini bizantine (nel XII secolo), è altrettanto vero che questa iconografia avrà enorme fortuna in occidente e in particolare nella pittura gotica (XIV secolo): cioè proprio al tempo in cui la Sindone compare sulla scena. All’iconografia dell’Imago pietatis è stata dedicata una ponderosa analisi dallo studioso di fama internazionale Erwin Panofsky ove l’ipotesi della derivazione di questa dalla Sindone non è presa in considerazione.

La sepoltura di Gesù (in alto) e la Sindone nel sepolcro vuoto (in basso), Codice Pray

Infine, una miniatura dipinta su un codice del tardo XII secolo (il Codice Pray, conservato a Budapest, datato tra il 1192 e il 1195) raffigura Gesù nel sepolcro con alcune caratteristiche che ricalcherebbero puntualmente l'iconografia di immagini sacre come quella sindonica. Nella parte superiore, il corpo di Cristo è completamente nudo, disteso sopra quello che sembra un telo morbido steso su quella che sembra una struttura rigida, con le mani incrociate sul ventre, la destra sopra la sinistra, e le mani sono prive dei pollici mentre le altre quattro dita sono distese.

L'interpretazione della parte inferiore dell'immagine non è univoca: secondo alcuni sindologi l'angelo presente indicherebbe il lenzuolo funebre, che presenterebbe un disegno geometrico che pare richiamare la trama "a spina di pesce" del tessuto, e su di esso sarebbero disegnati alcuni cerchietti in posizione corrispondente a piccole bruciature circolari presenti sulla Sindone di Torino[27]. Altri studiosi contestano questa interpretazione, sostenendo che il lenzuolo è invece limitato al panno ripiegato visibile subito sotto quella che sembra la lettera "a", mentre i due "rettangoli" contenenti le croci e le linee a gradino sarebbero il sepolcro e, scostata, la lastra di pietra che lo copriva (questa è una rappresentazione tipica della scena, sia nelle raffigurazioni cattoliche che in quelle ortodosse); in questo caso i cerchietti presenti su questi sarebbero puramente ornamentali, comparendo peraltro anche sull'angelo e sul vestito di una delle tre donne. Tra gli scettici è stato anche fatto notare che il Cristo rappresentato dalle miniature del Codice Pray non ha la barba (al contrario di quello sindonico) e, in alcune miniature in cui sono maggiormente dettagliate le mani, presenta i segni dei chiodi nei palmi, al contrario di quello della Sindone che li ha nei polsi.[28]

Da Costantinopoli alla Francia?

Sono state avanzate diverse ipotesi per ricostruire in qual modo la Sindone, se davvero si trovava nel 1204 a Costantinopoli, sia pervenuta in Francia per riapparire nel 1353 in mano a Goffredo di Charny. Bisogna però premettere che il periodo delle Crociate è segnato dalla comparsa improvvisa in Medio Oriente di un gran numero di reliquie, di cui fino ad allora non se ne conosceva l'esistenza, ed esisteva un commercio fiorente di tali oggetti, che venivano acquistati dai Crociati e spesso donati a Chiese o a Sovrani al loro ritorno in patria. La maggior parte delle reliquie presenti nell'Europa Occindentale hanno questa storia, e sono forti i dubbi sulla loro autenticità.

Per tornare alla Sindone le ipotesi principali sono le seguenti:

  • Secondo un'ipotesi fu Ottone de la Roche, uno dei comandanti della Quarta crociata, che era acquartierato proprio nella zona di Blacherne, a impossessarsi del lenzuolo. Nel 1205 un nobile bizantino scrive al Papa che la Sindone rubata si trova ad Atene, dove Ottone si era stabilito, e ne richiede la restituzione[29]. In seguito Ottone l'avrebbe portata o fatta recapitare a suo padre, Ponzio de la Roche, a Besançon. Tempo dopo, forse a seguito di un furto, la Sindone sarebbe pervenuta al re Filippo VI e da questi donata a Goffredo di Charny, in ricompensa del suo valore, come afferma un documento del 1525 redatto dai canonici di Lirey. Oppure sarebbe stata ereditata dalla moglie di Goffredo, Giovanna di Vergy, discendente di Ottone.

È da notare però che proprio a Besançon è attestata l'esistenza, in quell'epoca, di un'altra sindone, molto nota e ritenuta dotata di poteri miracolosi, venerata a partire dal XIII, anche questa, secondo la tradizione, recuperata durante le crociate[30]. Essa era simile a quella di Torino ma più piccola (2.6x1.3 m) e rappresentante solo la parte anteriore del corpo, con però la ferita sul costato situata nella parte sinistra; andò apparentemente distrutta in un incendio nel 1349, ma nel 1377 i canonici della cattedrale sostennero di averla ritrovata intatta in un armadio che era scampato all'incendio. Questa sindone ritrovata ritornò ad essere venerata e coesistette con la Sindone di Torino fino al 1794, quando venne distrutta definitivamente durante la Rivoluzione francese.

Secondo un'ipotesi, la Sindone di Torino sarebbe stata nella cattedrale di Besançon fino al 1349, quando Giovanna di Vergy se ne sarebbe riappropriata, approfittando dell'incendio per simularne la distruzione ed evitare le proteste dei fedeli, e quindi l'avrebbe portata con sé a Lirey; la Sindone ritrovata nel 1377 sarebbe stata invece una copia[29].

  • Secondo Ian Wilson[31] e altri, sarebbero stati invece i Templari a prendere la Sindone e a custodirla fino allo scioglimento dell'ordine: nel 1314, quando l'ultimo Gran maestro Jacques de Molay viene messo al rogo, insieme a lui è bruciato anche un alto dignitario dell'Ordine a nome Goffredo di Charny, omonimo e forse parente di colui che quarant'anni dopo espone pubblicamente la Sindone. Tra le accuse mosse ai Templari durante il processo, vi fu anche quella di adorare in segreto il volto di un uomo barbuto (il "Bafometto"): forse l'Uomo della Sindone? Nel 1950 fu ritrovato a Templecombe in Inghilterra, in una vecchia casa templare, il coperchio di una cassetta sul quale era dipinto un volto molto simile a quello sindonico. È possibile ipotizzare che questa cassetta contenesse proprio la Sindone.
  • Secondo Jack Markwardt[32], sarebbero invece stati i Catari a custodire segretamente la Sindone nella loro fortezza di Montsegur; Goffredo di Charny potrebbe esserne entrato in possesso a seguito della confisca dei beni dei Catari (un documento del 1349 comprova che egli ricevette i proventi di una confisca, anche se non vi è citata la Sindone).

Storia documentata (dal 1353)

Lirey

La prima notizia riferita con certezza alla Sindone che oggi si trova a Torino risale al 1353: il 20 giugno il cavaliere Goffredo (Geoffroy) di Charny, che ha fatto costruire una chiesa nella cittadina di Lirey dove risiede, dona alla collegiata della stessa chiesa un lenzuolo che, per sua dichiarazione, è la Sindone che avvolse il corpo di Gesù[33]. Egli non spiega però come ne sia venuto in possesso.

Il possesso della Sindone da parte di Goffredo è comprovato anche da un medaglione votivo ripescato nel XX secolo nella Senna, conservato al Museo Cluny di Parigi: su di esso sono raffigurati la Sindone (nella tradizionale posizione orizzontale con l'immagine frontale a sinistra), le armi degli Charny e quelle dei Vergy, il casato di sua moglie Giovanna.

Alcune notizie su questo periodo ci vengono dal cosiddetto "memoriale d'Arcis", una lettera indirizzata nel 1389 da Pietro d'Arcis, vescovo di Troyes, all'antipapa Clemente VII (che era riconosciuto in quel momento in Francia come papa legittimo) per protestare contro l'ostensione organizzata in quell'anno da Goffredo II, figlio di Goffredo. D'Arcis scrive che la Sindone era stata esposta una prima volta circa trentaquattro anni prima, quindi nel 1355 (alcuni storici propendono invece per la data del 1357, dopo la morte di Goffredo, ucciso in battaglia a Poitiers il 19 settembre 1356) e che il suo predecessore, Enrico di Poitiers, aveva aperto un procedimento contro il decano per via di sospetti sull'autenticità del telo, e come conseguenza questo era stato nascosto perché non potesse essere sequestrato ed esaminato. I teologi consultati da Enrico di Poitiers, aggiunge, avevano assicurato che non poteva esistere una Sindone con l'immagine di Gesù, perché i Vangeli ne avrebbero sicuramente parlato, ed inoltre un pittore aveva confessato di averla dipinta; ma d'Arcis non ne indica il nome (peraltro oggi si sa che l'immagine sindonica non è dipinta).

Sul memoriale d'Arcis sono però stati sollevati dubbi. Non si conoscono altre conferme che Enrico di Poitiers abbia effettivamente aperto un'inchiesta; in una sua lettera a Goffredo di Charny del 1356 non fa alcun cenno alla Sindone. Alcuni storici suggeriscono che Pietro d'Arcis volesse far dichiarare falsa la Sindone perché essa attirava i pellegrini a Lirey, facendo così calare le entrate della cattedrale di Troyes; proprio nel 1389 il tetto di quest'ultima era crollato e la sua ricostruzione richiese certamente molto denaro[34].

Goffredo II invia a sua volta un memoriale di segno contrario, e nel 1390 Clemente VII decreta una soluzione di compromesso, emanando 4 bolle: da una parte è autorizzata l'esposizione della Sindone a patto che si dichiari che si trattava di una pictura seu tabula, cioè un dipinto ("si dica ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta ad imitazione del Sudario"[35]). Già alcuni mesi dopo, tuttavia, forse dopo aver ricevuto ulteriori informazioni, egli sostituisce questa espressione con la formula figura seu representacio, che non esclude l'autenticità. Dall'altra, a Pietro d'Arcis è vietato di parlare contro la Sindone, pena la scomunica[29].

Alcuni anni dopo scoppia una disputa per il possesso della Sindone: il conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny, figlia di Goffredo II, verso il 1415 prende in consegna il lenzuolo per metterlo al sicuro in occasione della guerra tra la Borgogna e la Francia. Margherita si rifiuta poi di restituirlo alla collegiata di Lirey reclamandone la proprietà. I canonici la denunciano, ma la causa si protrae per molti anni e Margherita inizia ad organizzare una serie di ostensioni nei viaggi in giro per l'Europa (intanto Umberto muore nel 1448). Nel 1449 a Chimay, in Belgio, dopo una di queste ostensioni il vescovo locale ordina un'inchiesta, a seguito della quale Margherita deve mostrare le bolle papali in cui il telo viene definito una raffigurazione e come conseguenza l'ostensione venne interrotta e lei venne espulsa dalla città. Negli anni successivi continua a rifiutare di restituire la Sindone finché, nel 1453, la vende ai duchi di Savoia. Successivamente, nel 1457, a causa di questi suoi comportamenti viene scomunicata.

Chambéry

I Savoia conservano la Sindone nella loro capitale, Chambéry, dove nel 1502 fanno costruire una cappella apposita; nel 1506 ottengono da papa Giulio II l'autorizzazione al culto pubblico della Sindone con messa e ufficio proprio.

La notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, la cappella in cui la Sindone è custodita va a fuoco, e il lenzuolo rischia di essere distrutto: un consigliere del duca, due frati del vicino convento e alcuni fabbri forzano i cancelli e si precipitano all'interno, riuscendo a portare in salvo il reliquiario d'argento che era già avvolto dalle fiamme. Alcune gocce d'argento fuso sono cadute sul lenzuolo bruciandolo in più punti.

La Sindone è affidata alle suore clarisse di Chambéry, che la riparano applicando dei rappezzi alle bruciature più grandi e cucendo il lenzuolo su una tela di rinforzo. Nel frattempo, poiché si è diffusa la voce che la Sindone sia andata distrutta o rubata, si tiene un'inchiesta ufficiale che, ascoltate le testimonianze di coloro che hanno visto il lenzuolo prima e dopo l'incendio, certifica che si tratta dell'originale. La Sindone viene di nuovo esposta pubblicamente nel 1534.

Nel 1535 il ducato di Savoia entra in guerra: il duca Carlo III deve lasciare Chambéry e porta con sé la Sindone. Negli anni successivi il lenzuolo soggiorna a Torino, Vercelli e Nizza; soltanto nel 1560 Emanuele Filiberto, successore di Carlo III, può riportare la Sindone a Chambéry, dove rimane per i successivi diciotto anni.

Torino

Dopo aver trasferito la capitale del ducato da Chambéry a Torino nel 1562, nel 1578 il duca Emanuele Filiberto decide di portarvi anche la Sindone. L'occasione si presenta quando l'arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo, fa sapere che intende sciogliere il voto, da lui fatto durante l'epidemia di peste degli anni precedenti, di recarsi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordina di trasferire la reliquia a Torino per abbreviargli il cammino, che San Carlo percorre in cinque giorni.

La Sindone, però, non viene più riportata a Chambéry: da allora resterà sempre a Torino, salvo brevi spostamenti. Nel 1694 viene collocata nella nuova cappella appositamente costruita, edificata tra il Duomo e il Palazzo reale dall'architetto Guarino Guarini: questa è tuttora la sua sede.

Nel 1706 Torino è assediata dai francesi e la Sindone viene portata per breve tempo a Genova; dopo questo episodio non si muoverà più per oltre duecento anni, rimanendo a Torino anche durante il periodo dell'invasione napoleonica. Solo nel 1939, nell'imminenza della Seconda guerra mondiale, viene nascosta nel santuario di Montevergine in Campania, dove rimane fino al 1946; questo è a tutt'oggi il suo ultimo viaggio.

Manifesto commemorativo dell'ostensione del 1898

In occasione dell'ostensione pubblica del 1898, l'avvocato torinese Secondo Pia, appassionato di fotografia, ottiene dal re Umberto I il permesso di fotografare la Sindone. Superate alcune difficoltà tecniche, il Pia esegue due fotografie e al momento dello sviluppo gli si manifesta un fatto sorprendente: l'immagine della Sindone sul negativo fotografico appare "al positivo", vale a dire che l'immagine stessa è in realtà un negativo. La notizia fa discutere e accende l'interesse degli scienziati sulla Sindone, iniziando un'epoca di studi che fino ad oggi non si è conclusa; ma non manca anche chi accusa il Pia di avere manipolato le lastre.

Nel 1931 viene eseguita una nuova serie di fotografie, affidata a Giuseppe Enrie, uno dei migliori fotografi italiani dell'epoca. Per evitare ulteriori polemiche, tutte le operazioni vengono svolte in presenza di testimoni e certificate da un notaio. Le fotografie di Enrie confermano la scoperta del Pia e dimostrano che non vi era stata alcuna manipolazione.

Nel 1973 vengono effettuati i primi studi scientifici diretti, ad opera di una commissione nominata dal cardinale Pellegrino. Una campagna di studi più approfondita si svolge nel 1978, quando la Sindone viene messa per cinque giorni a disposizione di due gruppi di studiosi, uno statunitense (lo STURP) e uno italiano.

Nel 1983 muore Umberto II di Savoia, ultimo re d'Italia: nel suo testamento egli lascia la Sindone in eredità al Papa. Giovanni Paolo II stabilisce che essa rimanga a Torino e nomina l'arcivescovo della città suo custode.

Nel 1988 tre laboratori internazionali eseguono l'esame del carbonio 14: la Sindone viene datata agli anni 1260-1390, ma il risultato viene contestato da numerosi sindonologi.

Nel 1997 un incendio scoppiato nella cappella del Guarini mette di nuovo in pericolo la Sindone. La Sindone, tuttavia, non fu direttamente interessata dall’incendio poiché il 24 febbraio 1993, per consentire i lavori di restauro della Cappella, era stata provvisoriamente trasferita (unitamente alla teca che la custodiva) al centro del coro della Cattedrale, dietro all’altare maggiore, protetta da una struttura di cristallo antiproiettile e antisfondamento appositamente costruita.

Nel 2002 la Sindone viene sottoposta ad un intervento di restauro conservativo: vengono rimossi i lembi di tessuto bruciato nell'incendio del 1532 e i rattoppi applicati dalle suore di Chambéry; anche il telo di sostegno (la "tela d'Olanda") applicata nel 1534 viene sostituito. Il lenzuolo inoltre viene stirato meccanicamente per eliminare le pieghe e ripulito dalla polvere.

Nel 2009 la proprietà della Sindone è stata messa in discussione: secondo il costituzionalista Francesco Margiotta Broglio, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1º gennaio 1948) la Sindone è diventata proprietà dello Stato italiano in base alla XIII disposizione, comma 3, e il legato testamentario di Umberto II è di conseguenza nullo[36]. Tuttavia si può assumere che la Santa Sede abbia ormai acquisito la proprietà della Sindone per usucapione, essendo trascorso il termine di legge senza che lo Stato italiano ne abbia reclamato la proprietà. Sulla questione è stata presentata una interrogazione parlamentare ma non risulta ancora una risposta del governo[37][38].

Per l'ostensione del 2010, la prima dopo 10 anni, iniziata il 10 aprile e con termine il 23 maggio, oltre 1 milione e 700 mila pellegrini hanno prenotato la visita alla Sindone presso il Duomo di Torino.[39]

Note

  1. ^ Vedi ad esempio E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., p. 75.
  2. ^ Eusebio di Cesarea, [[Storia ecclesiastica (Eusebio)|]] 3,5,2-3 tr. ing.).
  3. ^ Passo originale: "Evangelium quoque quod appellatur secundum Hebraeos, et a me nuper in Graecum Latinumque sermonem translatum est, quo et Origines saepe utitur, post resurrectionem Salvatoris refert: Dominus autem cum dedisset sindonem servo Sacerdotiis, ivit ad Jacobum, et apparuit ei". Segue il racconto di un pasto (eucaristico).
  4. ^ Sulla base di un'interpretazione un po' stiracchiata di Gv 18, 15 Gv 18, 15, così Gino Zaninotto in Il grande libro della Sindone, 2000, p. 35.
  5. ^ Il "servo del sommo sacerdote" è citato in occasione dell'arresto di Gesù Gv 18, 10 Gv 18, 10 e paralleli. Ipotesi riportata con prudenza da Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, p. 450.
  6. ^ Così Charles Harold Dodd che ipotizza la corruzione del prototermine latino petro (Pietro) in puero (ragazzo, servo), corruzione presente anche nel Codex Bobbiensis in Mc 16, 7 Mc 16, 7. Un successivo copista avrebbe poi modificato puero in servo sacerdotiis (P. Baima Bollone e P.P. Benedetto, Alla ricerca dell'Uomo della Sindone, cit.).
  7. ^ Recensione greca A, 15,6-7 tr. it.; papiro copto di Torino 12,3;6-7 tr. it.; recensione latina 15,7-8 tr. it.
  8. ^ Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, p. 777.
  9. ^ Consultabili in traduzione inglese qui e qui.
  10. ^ PL vol. 80, col. 0689A-B: Sed et illo tempore notuerunt fieri multa quae non habentur conscripta, sicut de linteaminibus, et sudario quo corpus Domini est involutum, legitur quia fuerit repertum, et non legitur quia fuerit conservatum: nam non puto neglectum esse ut futuris temporibus inde reliquiae ab apostolis non reservarentur, et caetera talia. Traduzione italiana: "Ma in quel tempo accaddero molte cose le quali non sono state scritte (nei vangeli), come i lini e il sudario nel quale fu avvolto il corpo del Signore, del quale si legge che è stato trovato ma non si legge che fu conservato: non penso che sia stato trascurato, in modo tale che gli apostoli non lo abbiano conservato per i tempi futuri, e altre cose simili."
  11. ^ Consultabile nell'originale latino su Wikisource.
  12. ^ (J. Francez, Un pseudo linceul du Christ, Paris 1935)
  13. ^ Daniel R. Porter, The Mozarabic Rite, a Clue to the Shroud of Turin? (2004) [1].
  14. ^ Richard B. Sorensen, Summary of Challenges to the Authenticity of the Shroud of Turin (2007) [2].
  15. ^ Jack Markwardt, Antioch and the Shroud (1998) [3].
  16. ^ E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., pp. 80-81 e tavola fuori testo n. 11.
  17. ^ Ian Wilson, Urfa, Turkey: A proposal for an archaeological survey of the town that (arguably) was the Shroud's home for nearly a thousand years (1999), pp. 4-5 [4]
  18. ^ a b E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., pp. 92-93.
  19. ^ E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., p. 95.
  20. ^ E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., p. 96.
  21. ^ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, cit., p.125
  22. ^ Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, pp. 728-732.
  23. ^ P.es. il gesuita Heinrich Pfeiffer collega il Velo della Veronica conservato a Manoppello (Volto Santo di Manoppello) con la Sindone (riassunto on-line della sua tesi).
  24. ^ Vedi ad esempio E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., pp. 81-82 e seguenti.
  25. ^ E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., pp. 83-85.
  26. ^ E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., pp. 93-95.
  27. ^ E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., p. 16.
  28. ^ Articolo di approfondimento, dal sito dello storico Antonio Lombatti
  29. ^ a b c http://www.shroud.com/pdfs/sorensen2.pdf
  30. ^ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag. 25
  31. ^ Ian Wilson, The Shroud of Turin, the Burial Cloth of Jesus Christ?, Image Books, Garden City (1979); The Blood and the Shroud, The Free Press, New York (1998)
  32. ^ Jack Markwardt, The Cathar crucifix: new evidence of the Shroud's missing history [5]
  33. ^ Giulio Ricci, L'uomo della Sindone è Gesù, 1989, p. 22.
  34. ^ Richard B. Sorensen, Answering the Savoy/Leonardo da Vinci Hypothesis (2005) [6]
  35. ^ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 16
  36. ^ Giacomo Galeazzi, "La Sindone appartiene allo Stato italiano", in La Stampa, Torino, 26 maggio 2009.
  37. ^ Atto di sindacato ispettivo. 09 giugno 2009, n. 4-01563. Senato della Repubblica Italiana.
  38. ^ Giacomo Galeazzi, Sindone, la proprietà finisce in Parlamento, in La Stampa, Torino, 28 maggio 2009.
  39. ^ Sindone: salgono le prenotazioni, in Sito ufficiale Santa Sindone, Diocesi di Torino. URL consultato il 03-05-2010.

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Voci correlate

Bibliografia

  • Pierluigi Baima Bollone e Pier Paolo Benedetto, Alla ricerca dell'Uomo della Sindone, Arnoldo Mondadori Editore, 1978.
  • Emanuela Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", supplemento a Famiglia Cristiana n. 12 dell'1.4.1998, Editrice San Paolo.
  • Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998
  • Carlo Papini, Sindone - Una sfida alla scienza e alla fede, Claudiana, Torino, 1998

Piana A., Sindone gli anni perduti, Sugarco, Milano 2007.